Marco Confortola e i dubbi sulla scalata degli Ottomila

Scritto il 13/08/2025
da Lucia Galli

Dopo aver celebrato il suo quattordicesimo Ottomila, l'alpinista si trova al centro di una dura polemica. Altri esperti come Simone Moro e Silvio Mondinelli sollevano dubbi sulla veridicità di alcune sue ascese, tra foto di vetta mancanti e testimonianze contrastanti, mettendo in discussione la sua credibilità

Quattro giorni fa aveva commosso tutti, raccontando il suo 14simo Ottomila, quel Gasherbrum I (8080 metri), conquistato il 20 luglio, a chiusura della sua raccolta da “cacciatore di alte vette”, come amava definirsi anche nel suo libro più famoso. A Bormio, in Valtellina, la piazza del Kuerc era piena e molti avevano le lacrime agli occhi per quel ragazzo che nel 2009, salendo il K2, era sopravvissuto a una delle tragedie più grandi dell’alpinismo, con 11 morti nella tempesta. Lui ci aveva rimesso le dita dei piedi, ma non la voglia di scalare.

Marco Confortola, classe 1971, era pronto a proseguire questo tour celebrativo nella sua Valfurva, a Santa Caterina. Ma qualcosa sta guastando non solo questa festa, ma forse il valore più alto – dopo l’altimetro - che un alpinista dovrebbe sempre rincorrere: la credibilità. Come una corda che non scorre libera, ma si strozza nel nodo di un dubbio. Confortola può davvero annoverarsi fra gli Eight Thousanders, il ristretto club di chi abbia scalato tutto i 14 Ottomila della terra? Oppure in qualche caso ha usato l’aiutino? Su quali cime è salito davvero? Negli anni gli sono già state “contestate” le salite al Lhotse, al Makalu (2017), al Kangchenjunga, all’Annapurna, al Nanga Parbat e al Dhaulagiri.

In molti casi si tratterebbe di cime “sfiorate” o mancate per poche centinaia di metri che, però, sia che si parli di sviluppo, sia soprattutto di dislivello – a quelle quote ha tutto un altro peso, perché i metri si trasformano in ore di percorrenza e pericoli. In alcuni casi manca la foto di vetta, in altre circostanze pare che Confortola non sia riuscito a fare foto adeguate e si sia fatto prestare foto della cima da altri colleghi, salvo spacciarle per sue con fotomontaggi anche alquanto artigianali, incolpando poi il suo management social. In altri casi, infine, ci sono testimoni che dicono di non averlo incontrato in cima, ma poco sotto, mentre già estraeva bandiere e gagliardetti per farsi la classica foto e poi discendere.

In un caso, questo sì, Confortola aveva ammesso di aver rinunciato alla vetta per via della sicurezza: in quei giorni era sulla montagna con Silvio Mondinelli, altro summiter dal curriculum cristallino, che è tornato ad invitarlo a un confronto pacato. Di “Azione per amore di verità e onestà”, ha parlato ieri anche Simone Moro, indiscusso signore delle invernali sugli Ottomila, ”soprattutto quando si vuole passare per testimonial di valori”, prosegue l’alpinista bergamasco, “Nei valori c’è anche quello della verità e di saper provare la tua verità. Di accettare il dubbio e la sconfitta.

Io stesso non chiederei saldi se si mettessero in dubbio le mie invernali e metterei in fila tutte le prove e testimonianze che ho, e non solo basarmi sulla mia parola o minacciando azioni legali”. Inevitabilmente è il suo l’affondo più autorevole: lui da Bergamo la prende larga e comincia parlando di due pesi e due misure nel giudicare le carriere come quella del valtellinese e di Ueli Steck, “the Swiss machine”, morto nel 2017 sul Nuptse a cui la “comunità” alpinistica non perdonò di non aver prodotto prove e foto della salita in velocità (28 ore) all’Annapurna nel 2013.

Moro prova a restare sul filosofico: ricorda che in Himalaya c’è un data base dei summiter e un ufficio che rilascia certificati di vetta. Finché a gestirlo era la mitica ed irremovibile Elizabeth Hawley, nessuno contestava. Più autorevole della Cassazione, piglio da Rottermeier dei monti, chi superava il suo interrogatorio e otteneva il beneplacito, era stato in cima oltre ogni ragionevole dubbio. Oggi la sua eredità è, da una parte, in mano ad un pool di esperti, dall’altra si è piegata a vari meccanismi della modernità che passano per dei controllori che, però, invece che essere sul posto, ai campi base (in fondo non lo era nemmeno la Hawley che attendeva tutti nel suo ufficio a Kathmandu ndr.) spesso non disdegnano liquidità in cambio di timbri e imprimatur. Moro, in veste di pilota di elicotteri (è anche medaglia d’oro al valor civile per alcuni salvataggi estremi), ricorda di aver dato un passaggio in elicottero a Confortola fino al campo base del Kanchenjunga in un viaggio che poteva essere un trasferimento cordiale fra colleghi: “Riconobbi che era lui anche dal bavero alzato dello sponsor, ma non mi degnò nemmeno di una parola.

Al ritorno, prese un altro elicottero e io evacuai il suo team e la sua attrezzatura e parlando con loro mi dissero di non essere arrivati in cima”, racconta Moro. Insomma un atteggiamento di “difesa” che non parrebbe giustificato fra signori. D’altra quota, soprattutto. Pronta arriva la smentita di Confortola: piccata e tranchant. «Io non metto in dubbio quello che fanno gli altri, ma qua c'è l’invidia”, dice l’alpinista di Valfurva. «Mi dispiace perché, invece di parlare di cose importanti, di cose belle, dobbiamo soffermarci sempre sulle polemiche. Perché non parliamo della scuola in Nepal o dell’intervento di soccorso al Dhaulagiri dove ne abbiamo salvati sette?”.

E poi, entrando nel dettaglio delle cime contestate: «Sull'Annapurna è la mia parola contro quella di Silvio Mondinelli. Lui scendeva e io salivo. Sul Kangchenjunga ho avuto un edema corneale: lì c'è un orologio, ma l'orologio non va bene. Fate quello che volete, io ero in cima, poi fate quello che volete. Sul Nanga sono tre anni che continuano a martellare ma c'è il certificato di vetta».

Nel suo paese, ai piedi delle Tredici Cime e sui social, intanto, c’è chi ricorda che anche una discesa sull’Ortles con gli sci è stata documentata con un video fatto più in salita che in discesa e chi invece gli ricorda che Achille Compagnoni restò comunque un grande anche se non fece nulla per riconoscere la verità di Walter Bonatti nella più famosa e contestata notte dell’alpinismo italiano, quella del K2 nel 1954. E ancora oggi, sembra buio pesto in quota come a valle.