Le giunte rosse che foraggiano le violenze

Scritto il 25/11/2025
da Francesca Galici

I professionisti della guerriglia

Bologna e Genova, ma anche Milano in passato, Napoli, Torino e non solo hanno vissuto manifestazioni violente. Devastazioni e vandalismi sono la norma quando a scendere in piazza sono i centri sociali, che sotto il cappello della Palestina o di qualunque altra causa rappresentante, a loro dire, una buona occasione per arrecare danni alle città. Oggi è la Palestina, in passato è stato Alfredo Cospito e così via. Di recente anche a Udine ci sono stati disordini, con un poliziotto colpito alla spalla da un’arma da taglio dagli ultras del Bologna.

“Ciò che più di tutto ci chiediamo è quale è il livello di sopportazione nei confronti di questa violenza che ci sembra sempre più ammessa. A Udine, gli ultras del Bologna hanno procurato durante un attacco ai poliziotti una ferita da taglio”, ha dichiarato Pasquale Griesi, segretario FSP Polizia di Stato. Impossibile determinare come sia stato possibile che un civile sia riuscito ad avvicinarsi tanto a un agente ma anche per questo motivo, il sindacalista ha sottolineato che “chiediamo da tempo immemore che i manifestanti non si possano mai avvicinare ai reparti schierati, quell'area cuscinetto che serve anche a non far accoltellare qualche agente come, appunto, è successo”. Se entri in quello spazio, ha aggiunto, “devi sapere che verrai fatto bersaglio dalla forza pubblica, e te ne assumi le responsabilità: non è cosa difficile, si può fare se si vuole”. A Bologna, ha poi ricordato Griesi, “i delinquenti propal hanno utilizzato bombe con pezzi di ferro e chiodi. Ancora caschi spaccati da sanpietrini, figuriamoci la fine che avrebbe fatto un cranio. Feriti tra le nostre file come se non ci fosse un domani, lacrimogeni depotenziati che non funzionano come dovrebbero, per intenderci fanno solo fumo o ti esplodono in mano” mentre a Genova “gli anarchici hanno devastato tutto creando danni ai beni dello Stato e ai cittadini, confermando che vi può essere una violenza ammessa”.

Siamo convinti, ha aggiunto Griesi, “che gli sfollagente, quelli che piace tanto chiamare ‘manganelli’, che vengono utilizzati sempre meno, sono solo un peso in più da portare dietro: si ha quasi timore ad ordinare di usarli.

Ci sono poi gli idranti che bagnano dolcemente, mai sia che servano per allontanare con decisione, che non vengono riempiti di liquido colorato per rintracciare questi criminali per poi procedere ad identificazione e arresti differiti”. Ma, ci ha tenuto a precisare Griesi, “i razzi, le bombe, le armi da taglio, utilizzati contro le forze dell'ordine non sono opinione, non rientrano nel diritto di manifestare, non sono tesi da dibattere in aule universitarie o in sedi comunali. È barbarie, è un attacco alla civiltà, ai nostri valori. Questi soggetti sono i soliti personaggi con ideologie tossiche e troppo tempo libero, non rivoluzionari ma criminali, violenti, che vanno perseguiti, condannati e resi inoffensivi, senza se e senza ma”.

Eppure, questi gruppi di aggregazione che vivono al limite della legge, e spesso ben oltre, continuano ad avere agibilità e libertà di movimento. Le amministrazioni rosse delle grandi città accettano, e ben tollerano, i centri sociali, non foss’altro che per una mera questione elettorale: rappresentano un bacino di voti troppo ghiotto per lasciarselo scappare.

L’ultimo esempio emblematico è quello di Bologna: venerdì sera la città è stata nuovamente presa d’assalto da gruppi di violenti perché al PalaDozza, per l’Eurolega, il Maccabi Tel Aviv sfidava la Virtus. Dopo aver tentato di spostare la gara, assecondando le richieste dei violenti che minacciavano rappresaglie, il giorno dopo il sindaco Matteo Lepore ha tentato di far passare le devastazioni della città come opera di violenti venuti da fuori Bologna ma è stato smentito dalla Questura: su 5000 partecipanti, solo un centinaio erano “foresti”. Tra i manifestanti c’erano anche esponenti di due centri sociali che svolgono la propria attività in spazi di proprietà comunale, Labas e Tpo, per i quali il gruppo di FdI in Consiglio comunale ha chiesto la revoca: “Interrompere ogni finanziamento e collaborazione”.

Che è un po’ quello che il Comune di Milano sta cercando di fare con il Leoncavallo. Il centro sociale è stato sgomberato dalla storica occupazione degli spazi di via Watteau, restituiti ai legittimi proprietari tra le proteste, anche della sinistra ricadente nell’arco istituzionale. Da tempo l’amministrazione di Beppe Sala sta provando ad affidare al Leoncavallo una sede comunale, che però il centro sociale ha dichiarato in più occasioni di non gradire: dicono che non sia nella posizione ottimale e che per rimetterla a posto occorrono troppi soldi. Eppure il Comune continua a provarci a mettere in legalità il centro sociale, chiudendo gli occhi sulle altre realtà “autogestite” milanesi, anche perché da lì potrebbero arrivare voti, mai come nei prossimi anni fondamentali alla sinistra per mantenere la propria roccaforte a Palazzo Marino. Tutto questo senza considerare che il Leoncavallo ha un debito a diversi zeri con il Comune di Milano per la Tari: ma conviene far finta di nulla. Ha già trovato da tempo casa, senza un bando, il centro sociale Lambretta a Milano, che ora vive in un ex supermercato.

Così come a Torino conviene chiudere gli occhi davanti alle violenze del centro sociale Askatasuna. Il Comune guidato da Stefano Lo Russo sta lavorando per far entrare la storica aggregazione violenta nel progetto dei beni comuni: di recente sono iniziati i lavori nello stabile viale Regina Margherita che Askatasuna occupa abusivamente da 29 anni. Eppure, i suoi esponenti sono noti per le violenze di piazza, per le devastazioni, e sono stati individuati anche a Bologna durante gli scontri contro il Maccabi. Sono in prima linea anche quando scoppia la guerriglia No Tav in Val di Susa e quando in città ci sono manifestazioni, di qualunque tipo esse siano, non esitano a partecipare, talvolta a infiltrarsi, per andare a cercare lo scontro con la polizia. Quanto sta cercando di fare il Comune di Torino è quanto già fatto dal Comune di Napoli sotto l’amministrazione di De Magistris: negli anni sono triplicati gli immobili comunali occupati dai centri sociali, che anche in questo caso sono spesso protagonisti di guerriglia urbana. Dal porto ai quartieri popolari, a Napoli uno dei centri sociali più noti che è entrato nel novero dei “beni comuni” è l’ex Opg Je so Pazz’, uno dei più noti in città, che di recente, non sorprendentemente, ha sposato la causa palestinese.